11.11.2016 L’internazionalizzazione elemento strategico per la crescita dell’agroindustria


Internazionalizzazione? Sì grazie. E’ questo uno degli elementi emersi da una ricerca sulle imprese agroindustriali realizzata da Veneto Agricoltura e Community Media Research. L’indagine, svolta nel periodo luglio-agosto 2016, ha consentito di intervistare 459 imprese attive in diversi comparti dell’industria alimentare.

Va innanzitutto evidenziato che nei primi 6 mesi dell’anno in corso il settore ha complessivamente conosciuto un tendenziale miglioramento del processo di crescita rispetto a quanto rilevato con un’analoga indagine due anni prima. Emerge inoltre chiaramente che le imprese aperte ai mercati esteri hanno ottenuto dei risultati migliori rispetto a quelle che operano esclusivamente nel mercato domestico.

Per quanto riguarda il fatturato, il saldo tra coloro che hanno dichiarato un aumento e coloro che affermano vi sia stata una diminuzione è pari a -9,3 per le imprese non internazionalizzate mentre è risultato decisamente positivo per coloro che esportano. Analoga correlazione è stata riscontrata per l’occupazione: chi è aperto ai mercati esteri dimostra di avere una maggiore possibilità di espansione e quindi di assunzione di nuovo personale.

Si osserva inoltre che le imprese aperte ai rapporti internazionali da una parte avvertono in misura significativamente più marcata l’aumento dei costi delle materie prime, ma dall’altra hanno una maggiore capacità di elevare, seppure marginalmente, i prezzi alla vendita. Tali imprese presentano anche minori problemi di liquidità e una maggiore regolarità degli incassi rispetto a chi opera nel solo mercato interno.

Tuttavia anche il grado di internazionalizzazione sembra avere dei limiti. Distinguendo le imprese esportatrici tra quelle ad “apertura flebile” (ovvero con un fatturato da export non superiore al 20% del totale) e quelle ad “apertura sostenuta” (export >20%), i saldi di diversi parametri economici riferiti al primo gruppo sono risultati superiori a quelli rilevati nel secondo gruppo. Come se un’esposizione “eccessiva” sui mercati esteri rappresentasse in qualche modo un elemento di relativa difficoltà rispetto a una situazione di minore relazione con l’estero e di maggiore presenza sul mercato interno.

Mediamente l’82/% della produzione delle imprese agroindustriali intervistate viene distribuito in Italia, l’11,5% nei Paesi dell’UE e il 5,8% raggiunge destinazioni al di fuori dell’UE. Gli andamenti delle vendite sono in tutti i casi positivi, tuttavia le vendite all’estero registrano dei saldi 3 o 4 volte superiori.

L’analisi tra i diversi comparti dell’agroindustria ha inoltre evidenziato livelli di internazionalizzazione significativamente differenti. Il comparto delle bevande, rappresentato in massima parte dal vino, possiede l’apertura più elevata ai mercati esteri (74,5%), seguito dai comparti dell’ortofrutta (66,7%) e degli altri prodotti alimentari (64,2%), che comprende una pluralità di lavorazioni, dai mangimi ai prodotti dietetici, dalla cioccolata al caffè. I comparti meno internazionalizzati sono invece il lattiero-caseario (29,2%) e i prodotti da forno (35,3%).