19.11.2010 Dop e Igp, affare per pochi?


La riconoscibilità dei prodotti agroalimentari e la globalizzazione dei mercati tra “Km zero” e competizione internazionale. A chi conviene la certificazione?

Dop e Igp, disciplinari di produzione e certificazioni di qualità sono un costo o un opportunità tanto più in vista della riforma della PAC (Politica Agricola Comunitaria) post 2013? Si è parlato di questo oggi in Corte Benedettina, di Veneto Agricoltura, a Legnaro (PD), nell’ambito del quarto seminario della Conferenza regionale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. “Il Veneto ha 367 prodotti tradizionali riconosciuti – ricorda l’Assessore Regionale Franco Manzato – su oltre 4500 in Italia. Se è vero che il 75% dei cittadini italiani sarebbe disposto a pagare qualcosa in più i prodotti territoriali certificati è altrettanto vero, in pari percentuale, che non sanno cosa significhino Dop, Igp e simili. E allora – conclude Manzato – la vera questione è come valorizzare i nostri prodotti certificati e aggredire efficacemente i mercati locali ed internazionali.” Parlare di qualità per Edi Defrancesco dell’Università di Padova significa assecondare i futuri obiettivi della PAC in quanto occasione per i produttori e richiesta dai consumatori, come confermato anche da Fabienne Segers della Commissione europea, coordinatrice per l’Italia delle denominazioni d’origine. E tuttavia il dato più eclatante del convegno è emerso dall’analisi di Denis Pantini di Nomisma: la Dop, l’Igp e simili conviene a pochi, inseriti in una filiera di produzione organizzata, di dimensioni medio – grandi, rivolti al mercato internazionale e che ne fanno, per questo, un fattore di competitività. Le ultime ricerche in materia sono emblematiche. Se Eurobarometro ha scoperto un consumatore europeo attento a prezzo e qualità ma meno sensibile all’origine territoriale, quello italiano, secondo recenti analisi Nielsen, annovera tra i più significativi criteri di acquisto il costo mentre neanche compare la provenienza. “E se a questo – sostiene Pantini – che trova conferma nelle ultime conclusioni di Nomisma e del Censis, aggiungiamo come l’82% del fatturato complessivo dei prodotti certificati italiani sia fatto da dieci grandi marchi, percentuale che non ha analogie con gli altri paesi dell’Unione Europea, scopriamo che al di fuori di questi l’indice di penetrazione nel mercato agroalimentare dei prodotti in quanto certificati risulta di fatto piuttosto basso”. Se solo l’8% degli acquirenti europei (16% italiani) è consapevole di acquistare Dop e Igp quando capita, a chi conviene produrli? “I vantaggi sono soprattutto per chi ne fa strumento di tutela, di tracciabilità nei mercati – sostiene Pantini – e non di marketing in senso stretto. Per questo motivo, considerato che per articoli di nicchia prodotti in piccole quantità la certificazione arriva a pesare anche il 10% sul costo complessivo di produzione, mentre quasi si azzera nelle grandi quantità, è evidente – conclude Pantini – che la stessa conviene ai grandi marchi che producono ingenti partite di merce e che utilizzano bene i canali della grande distribuzione organizzata”. L’agroalimentare veneto, la sua qualità e la sua rintracciabilità da parte del consumatore nel mercato italiano ed internazionale va tutelato e rilanciato secondo le maggiori categorie di rappresentanza presenti al seminario, per un interesse che va esteso a tutta la filiera di produzione. E le peculiarità del “Made in Veneto”, da celebrare in una cornice di sostenibilità economica, sociale e ambientale, sono stati al centro del dibattito insieme al ruolo dei “Consorzi di tutela” dei prodotti. Per consultare i lavori della conferenza: http://www.venetorurale2013.org/

 

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