Mercati ortofrutticoli in Veneto: nel 2019 ancora in calo le merci scambiate; in tre anni perse oltre cento mila tonnellate

Anche nel 2019 i quantitativi di merce scambiata nei mercati ortofrutticoli veneti è diminuita, scendendo a circa 815 mila tonnellate, in calo del -5,8% rispetto al 2018. Si tratta di un trend negativo in atto da quasi dieci anni, in cui le quantità veicolate si sono mantenute al di sotto della soglia psicologica del milione di tonnellate, e che sta registrando un’accelerazione. Negli ultimi tre anni, infatti, i mercati ortofrutticoli veneti hanno perso oltre 110 mila tonnellate di merce, che anziché transitare per le strutture mercatali hanno preso altri vie e seguito altri percorsi.

Anche il valore degli scambi ha registrato un calo, addirittura più rilevante rispetto ai volumi, e viene stimato a circa 766 milioni di euro (-8,9%): ad influire su tale perfomance, oltre alla diminuzione delle quantità, ha inciso negativamente la flessione del prezzo medio delle merci scambiate nei mercati, sceso a 0,95 euro/kg (-3% rispetto all’anno precedente).

Sono questi i dati più significativi che emergono dalle analisi effettuate dagli esperti dell’Osservatorio Economico Agroalimentare di Veneto Agricoltura sui dati forniti dagli stessi mercati ortofrutticoli regionali.

Per quanto riguarda la categoria di merce scambiate, gli ortaggi si confermano al primo posto (poco meno di 430 mila tonnellate, -0,8%), con una quota pari al 52,8% degli scambi, seguiti dalla frutta fresca (265 mila t, -6,7%) con una quota del 32,6% sul totale delle quantità veicolate. Gli agrumi rappresentano circa il 13,8% delle merci scambiate (112 mila t, -2,2%) mentre è del tutto residuale la quantità di frutta secca (circa 7 mila t), le cui quantità sono tuttavia aumentate del +21% rispetto al 2018.

L’analisi dei dati raccolti conferma che i mercati di redistribuzione (Verona, Padova e Treviso) sorreggono gli scambi mercatali della regione Veneto con una quota dell’83,2% del totale della merce veicolata (circa 680 mila t). Tuttavia, nel lungo periodo le quantità di merce scambiate presentano un andamento negativo ed è proprio questa tipologia di mercati ad aver subito le perdite maggiori in termini assoluti, oltre 100 mila tonnellate solo negli ultimi tre anni. Per quanto riguarda i mercati alla produzione, le merci scambiate si attestano a circa 55.640 tonnellate, in diminuzione rispetto al 2018 (-4%): da notare che nell’ultimi biennio la quantità è scesa a meno della metà rispetto a vent’anni fa. Gli scambi sono concentrati per circa l’87% in soli cinque mercati principali: Lusia, Chioggia, Rosolina, Villafranca e Valeggio sul Mincio. Per quanto riguarda i mercati al consumo, le quantità veicolate sono scese a circa 80.850 tonnellate (-6,9% rispetto al 2018), con un trend in calo nell’ultimo triennio. Nonostante questa flessine, va sottolineato che, dopo la lunga serie negativa registrata nel periodo 2001-2010, quando hanno perso quasi la metà dei volumi scambiati, negli ultimi dieci anni questa tipologia di mercati è l’unica ad aver registrato una dinamica positiva delle quantità in transito.

Il confronto tra flussi in e out di merce per territorio di provenienza e destinazione evidenzia un incremento delle provenienze dal territorio regionale (circa 191 mila tonnellate, +4,3%), che costituiscono il 23,5% del totale, a scapito degli arrivi dalle altre regioni italiane (escluso il Veneto), che raggiungono le 426 mila tonnellate (-6,4%) e la cui quota sul totale passa dal 54,3% al 52,4%. In lieve calo le quantità provenienti dall’estero (196 mila tonnellate, -1,4%), la cui quota comunque sale leggermente portandosi al 24,1% del totale. Le importazioni dall’estero provengono per la maggior parte (60%, circa 120 mila tonnellate) dall’Unione Europea e in particolare da Spagna e Paesi Bassi, che da soli effettuano quasi il 50% delle spedizioni di frutta verso i mercati veneti. In riduzione le importazioni da Sud e Centro America e dall’America settentrionale (circa 48 mila tonnellate, -8,3% rispetto al 2018), che soddisfano le esigenze di frutta e ortaggi nei periodi di contro stagionalità.

In termini di destinazioni, il Veneto continua a svolgere in maniera sempre efficace un ruolo di piattaforma di rilancio dei prodotti ortofrutticoli, ricevendo le merci provenienti a livello nazionale, per la maggior parte dal Sud Italia (oltre la metà delle merci proviene da Sicilia, Puglia e Calabria) ed effettuando una loro redistribuzione in particolare verso l’estero, la cui quota, nonostante una lieve flessione dei volumi, scesi a circa 295 mila tonnellate (-2,1% rispetto all’anno precedente) si attesta al 36,3% sul totale delle merci in uscita. Le esportazioni sono ovviamente orientate principalmente verso i paesi di prossima vicinanza all’Italia e quindi Austria (21%), Slovenia (19,3%), Croazia (18%) e Germania (16,5%). Tra le “altre” destinazioni estere, la maggior parte sono rivolte verso paesi dell’Europa dell’Est, quali Ucraina, Repubbliche Baltiche, Polonia e Repubblica Ceca. In flessione anche le spedizioni verso il territorio nazionale delle regioni confinanti, che si attestano su un volume pari a circa 134 mila tonnellate (-3,7%) e la cui quota è pari al 16,4% e delle merci in uscita. In leggero calo anche le merci che rimangono all’interno dei confini regionali, che scendono a 384 mila tonnellate (-3,2% rispetto all’anno precedente), ma la loro quota rimane stabile intorno al 47% a conferma di un rinnovato ruolo di fornitura del mercato locale svolta dai mercati al consumo.

Tale dinamica registrata negli ultimi anni sembra segnalare un rinnovato interesse da parte di una certa tipologia di acquirenti (dettaglianti fissi e ambulanti, ho.re.ca, …), a rifornirsi direttamente presso i mercati ortofrutticoli all’ingrosso presenti sul territorio regionale. Nei primi mesi del 2020, tuttavia, il trend sembra essere stato trainato dal ritorno della Distribuzione moderna a rifornirsi presso i mercati ortofrutticoli per integrare e completare la propria offerta, considerato l’aumento delle vendite registrato da questa tipologia di punti vendita che ha in qualche modo controbilanciato la minor richiesta proveniente proprio da hotel e ristoranti, coinvolti in maniera più rilevante dalle chiusure imposte dal lockdown per il contenimento della pandemia da Covid-19

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